Il Centenario delle Settimane Sociali: riflessioni e proposte per la Diocesi di Sulmona-Valva

RELAZIONE

Pistoia-Pisa 18-21 Ottobre 2007

Il Centenario delle Settimane Sociali: riflessioni e proposte per la Diocesi di Sulmona-Valva

Sono trascorsi 100 anni dall’inizio delle Settimane Sociali, quando un esiguo numero di laici cattolici spronati dall’economista Giuseppe Toniolo s’avventurarono “per offrire un contributo decisivo alla formazione e all’animazione dei cittadini cristianamente ispirati” (Benedetto XVI).
Come nel 1964 e nel 1993, il tema affrontato in queste giornate è stato il Bene Comune proiettato, ora, nell’era della globalizzazione.
Al n° 74 della “Gaudium et Spes”, si definisce Bene Comune “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alla collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e celermente” ossia è comune il bene in relazione con altre persone, è il bene della relazione stessa fra persone, in cui si confrontano quei beni rilevanti affinché si realizzi il progresso civile e morale nella nostra società.
La crisi dell’oggi, in cui non si agisce per il Bene Comune, per un’etica condivisa, è dovuta essenzialmente a quelle svolta individualistica che la società occidentale sta perseguendo sviluppando quel pluralismo nella concezione del bene che inevitabilmente sfocia nell’assolutizzazione del relativismo. Di fronte alla nuove sfide del presente e al tentativo di rilegare le nostre posizioni nella sfera del privato, noi cattolici non possiamo non rispondere a questo neo-personalismo il cui tratto caratterizzante è la negazione che tutti gli esseri umani siano PERSONE.
La concezione dello Stato Moderno europeo, come figlio della Rivoluzione Francese, ha sempre professato la sua laicità ovvero quella separazione fra sfera privata, in cui ha inserito la religione, e sfera pubblica, ma ha concepito il modello di famiglia e di educazione basandosi sulla cultura cristiana, valido per credenti e non.
Continuando a proclamarsi laico, lo Stato, nell’era della globalizzazione, non riesca a confrontarsi coi temi proposti, è uno Stato smarrito che arriva a consentire tutto ciò che è tecnicamente possibile proprio perché considera le morali tutte sullo stesso piano, non vi è una scala di valori da cui partire.
In questo contesto, ancor più di ieri, il fedele laico deve “partecipare in prima persona alla vita pubblica” (Benedetto XVI) perché la costruzione di un giusto ordine, la realizzazione del Bene Comune non può non passare in ambito politico.
Qualora il credente si trovasse a legiferare, dovrà prendere posizione sulla base della sua coscienza interiore, ma alle sue ragioni dovrà affiancare altre che siano comprese anche dai non credenti. Partendo dal ragionamento suddetto, quando si discute sull’aborto o sull’eutanasia come concessione di un diritto che non obbliga i cattolici ad esercitarlo, si postula che gli stessi non dovrebbero impedire una legislazione in questo senso.
Ragionare in tal modo significherebbe violare il principio d’eguaglianza perché escluderebbe il politico cattolico dalle possibilità di avanzare le proprie ragioni, mentre, per evitare ciò, occorre che, nel momento in cui questioni religiose entrino nella sfera politica, si forniscano ragioni alle proprie argomentazioni comprensibili, anche se non condivise, dai non credenti.
Un esempio da citare, che racchiude quanto detto, è stata l’esperienza del Comitato “Scienza e Vita” nel 2005: abbiamo vinto perché abbiamo convinto sulla base di ragionamenti a nostro sostegno.
Altra questione fondamentale per il raggiungimento del Bene Comune è l’ampliamento degli spazi di libertà dei cittadini e un’equa distribuzione delle risorse.
Il modello di democrazia rappresentativa non riesce a garantire istituzione economiche capaci di favorire l’inclusione di nuovi soggetti nel circuito della produzione di ricchezza: gli emarginati e i non capienti sopravvivono grazie al “capitalismo compassionevole” (Zamagni 2007) ovvero quell’assistenzialismo vizioso secondo cui una parte della ricchezza prodotta dagli imprenditori viene donata agli esclusi. Per uscire da questa palude, occorre civilizzare il mercato cioè cercare di includere tutti gli individui.
In tal senso bisogna discutere sul ruolo che le organizzazioni no profit (ONP) debbano assumere nella nostra società e in particolare l’importanza del capitale sociale che riescono a sviluppare.
Per CAPITALE SOCIALE intendiamo la capacità di produrre beni relazionali ossia ampliare quegli spazi di libertà dei soggetti attraverso cui esternare quei valori di cui sono portatori.
Per capitale sociale intendiamo quella rete fra enti della società civile (ONP) e istituzioni politico-amministrative finalizzata a creare Opere che, questi enti singolarmente, non potrebbero mai realizzare; Opere che perseguono il Bene Comune.
Il principio chiamato a regolare la società civile e la società politico-amministrativa è quello della SUSSIDIARIETÁ, in cui lo Stato limita il suo intervento sulle organizzazioni sociali inferiori e le sostiene: chi è prossimo dei problemi (la società civile) conosce i bisogni e chiede aiuto alle istituzioni per poterli soddisfare.
Analizzando la situazione italiana emerge palesemente una deleteria separazione fra queste due società che produce un welfare risarcitorio volto solo a migliorare le condizioni di vita dei più bisognosi; inoltre manca un obiettivo condiviso da perseguire.
La classe politica oppure le lobbies economiche non possono, da sole, definirlo; solo una DEMOCRAZIA DELIBERATIVA, davvero PARTECIPATIVA, intesa come luogo d’incontro tra società civile, politica ed economica, può individuare quale sia il Bene Comune e come arrivarci.
Un esempio di come possa raggiungesi è dato dalle IMPRESE in particolare quelle SOCIALI.
La vita economica proprio perché produce valore è votata al Bene Comune a patto che l’obiettivo del profitto non rappresenti l’unico fine, ma vi si affianchi la coscienza di essere al servizio della comunità.
In tale contesto si inserisce il senso della FINANZA ETICA.
Il soggetto economico è chiamato ad agire per il Bene Comune cioè ad agire eticamente non perché deve rispettare vincoli legali, ma perché è convinto che esistono diritti, valori, carismi che si possono realizzare attraverso l’attività economica.
Uno di questi diritti è quello al CREDITO.
In una società così veloce e immediata, non si riesce a comprendere il perché soggetti che hanno valide progettualità o gli stessi immigrati o i relativamente poveri non possono accedere al credito poiché ritenuti non bancabili, privi delle garanzie necessarie. Oggi non sono solo poveri coloro che non hanno reddito, ma anche coloro che sono fuori dai circuiti di produzione della ricchezza.
Allora si comprende, in questa situazione storica, la fondamentale importanza della MICROFINANZA, unica via percorribile per l’inclusione sociale degli esclusi attraverso la nascita di micro-imprese e per giungere a crear quel capitale sociale come fattore di sviluppo.
Solo così, arriveremo a concepire la categoria di imprenditore del Bene Comune come soggetto economico non interessato solo al profitto, ma anche di come si è giunti a quel risultato.
In questa epoca, molto timore incute l’uso, spesso l’abuso, della BIOPOLITICA.
La biopolitica dovrebbe essere la traduzione in norme legali dei principi medici, ma abbiamo assistito ad una progressiva gestione della vita biologica da parte dello Stato, che svuota i concetti di vita, morte, cura, malattia del loro significato antropologico per assumere una rilevanza pubblica che viene messa a disposizione dai singoli soggetti.
In merito si possono citare numerosi esempi: la legalizzazione dell’aborto riconosciuto come un diritto fondamentale, le pratiche della fecondazione assistita con la formazione di embrioni mai impiantati per arrivare alla cosiddetta “morte dolce”, vista sempre più come una semplice pratica burocratica e non come un omicidio pietoso.
Per mettere freno a questa degenerazione occorre impegnarsi per difendere la dimensione della vita in tutti i suoi stadi, dal principio alla fine attraverso un riconoscimento intrinseco del Bios rifiutando che esso possa essere qualificato politicamente.
Un ulteriore problema affrontato, in queste Settimane, è stato quello della FORMAZIONE ed EDUCAZIONE per un Bene Comune. La storia della Chiesa è ricca di esempi, ma si è voluto ribadire come fondamentale è il nostro ruolo formativo nelle scuole ed università.
La stessa Parrocchia e le attività ad essa collegate rimangono necessarie come luogo d’educazione alla Fede, di crescita e di confronto, però le stesse associazioni, i movimenti ecclesiali e le Chiese particolari sono chiamate ad aggiornarsi ed a rinnovare i percorsi educativi adattandoli all’epoca contemporanea ponendo un particolare riguardo alla formazione degli adulti.
Perché loro sono i testimoni delle cose in cui credono, maestri capaci di suggestionare i più giovani.
Dalle inchieste svolte nel mondo giovanile, la famiglia e la scuola rimangono il luogo di formazione primario: i giovani guardano agli adulti, ma questi ultimi non riescono più a svolgere il loro ruolo di educatori.
Il problema si sposta sugli adulti che, dove svolgono quel ruolo di educatori, falliscono: pensiamo alla famiglia, concentrata ad assicurare beni materiali superflui. Pensiamo agli allenatori che fanno giocare i più forti perché l’obiettivo rimane vincere a tutti i costi.
Dunque, si comprende che, educare al Bene Comune comporta l’impegno di crescere personalmente per fra crescere la società.
L’educatore, educando, realizza un percorso di crescita per se stesso e per la società.
Tutto ciò necessita di sviluppare dei progetti condivisi da tutti gli attori: famiglie, ragazzi, insegnanti, associazioni, dirigenti ecc…

QUALI PROPOSTE PER LA NOSTRA COMUNITÁ DIOCESANA NELLA PROSPETTIVA DEL BENE COMUNE?

Dalle esperienze di altre realtà della regione ecclesiastica Abruzzo-Molise (in particolare la Diocesi di Termoli-Larino), vorremmo sottolineare l’iniziativa del MICROCREDITO ETICO-SOCIALE.
Questa forma di finanza etica, proprio perché consente l’accesso al credito ai soggetti non bancabili, potrebbe realizzare quell’ampliamento degli spazi di libertà in un’ottica di equa distribuzione delle ricchezze e di partecipazione degli esclusi nei processi di sviluppo produttivo.
Un’iniziativa aperta ai relativamente poveri che, in particolari periodi vivono momenti di difficoltà finanziaria, ma aperta anche ai sostenitori d’iniziative imprenditoriali che necessitano di finanziamenti senza avere la possibilità di ricorrere ai normali canali creditizi.
La partecipazione della Diocesi, degli operatori sociali, dei volontari e degli istituti bancari non è altro che quell’incontro fra società civile e commerciale che ha come obiettivo la realizzazione del Bene Comune.
Nell’era della globalizzazione, dell’informazione planetaria in tempo reale, è necessario elaborare il mezzo più accessibile con cui comunicare coi fedeli. Torna d’attualità creare un GIORNALE edito dalla Diocesi, come fu, agli inizi del secolo passato, il “Il Popolo”, diretto da Mons. Zaccaria Setta. Con quell’organo si riuscì a risvegliare la coscienza dei cattolici della nostra comunità, impaurita, in quegli anni, dal pensiero liberale crociano e dalla ideologia socialista anticlericale.
Oggi, più che mai, è necessario uno strumento agile attraverso cui comunicare le proposte e le attività della nostra Chiesa, le riflessioni e le posizioni su argomenti d’attualità a livello nazionale e locale per dimostrare l’esistenza di una realtà ecclesiale non rinchiusa solamente nella liturgia, ma presente sul territorio ed attenta alle dinamiche sociali.
Dopo l’esperienza pisana, ancor più forte è la fiducia riposta nel PROGETTO POLICORO; la consapevolezza che una lettura del lavoro in chiave evangelica possa aprire nuovi orizzonti ai giovani del Mezzogiorno stretti in una morsa tra il lavoro subordinato precario e il lavoro nero o peggio la disoccupazione. Le storie di vita e i risultati nei territori più depressi rispetto alla nostra valle peligna ci rendono ottimisti per il futuro e consapevoli delle difficoltà che incontreremo durante il percorso.
Su questa progettualità diocesana gli appuntamenti prossimi dovranno focalizzarsi su un’attività promo-pubblicitaria attraverso gli strumenti tradizionali, ma anche su incontri nelle parrocchie, nelle scuole, nelle associazioni e seminari formativi affinchè giunga l’Annuncio per una nuova speranza anche laddove essa è andata perduta.
Conosciamo l’importanza della Caritas nell’attività caritatevole come la distribuzione dei viveri e la raccolta del vestiario per le famiglie indigenti, ma le sfide del presente ci portano ad indicare un’ulteriore strada di operatività per questo organismo pastorale: l’accreditamento presso il SERVIZIO CIVILE NAZIONALE.
Questa procedura consentirebbe la presentazione di valide progettualità in quegli ambiti come la famiglia, il disagio minorile, le tossicodipendenze, i detenuti, l’ambiente, l’immigrazione dove la nostra Caritas è da tempo troppo prudente.
Il passo successivo porterebbe a destinare dei volontari del Servizio Civile, adeguatamente formati e retribuiti dallo Stato, sulla base dei progetti accolti. Questi ragazzi dedicherebbero un anno della propria esistenza nel perseguimento dell’obiettivo prefissatosi consentendo alla Diocesi di disporre di risorse umani competenti, senza alcun aggravio economico, con uno straordinario supporto all’organo pastorale.
Le ultime due proposte che ci sentiamo in dovere di fare sono: l’istituzione annuale delle SETTIMANE SOCIALI DIOCESANE e la SCUOLA DI FORMAZIONE ALL’IMPEGNO SOCIALE.
Parliamo di proposte complementari perché l’una si nutre dell’altra.
Una Pastorale Sociale e del Lavoro lungimirante non può non trovare spunto dalle precedenti Settimane dei cattolici per ritrovarsi annualmente assieme alle associazioni, ai movimenti ecclesiali, agli operatori del settore per discernere su argomenti da cui trarre proposte concrete per il nostro territorio.
Allo stesso modo organizzare periodicamente dei seminari formativi all’impegno sociale che educhino alla partecipazione socio-politica sulla base dei valori indicati dalla Costituzione italiana e dal Magistero della Chiesa.
Partire dalla dimensione dei “valori” per affrontare le tematiche delle autonomie locali, delle organizzazioni sociali con riferimento alla partecipazione attiva delle persone, alla promozione della giustizia e alla globalizzazione della solidarietà umana.

Sulmona, 18/11/2007 Delegazione diocesana

Animatore di comunità Progetto Policoro
Cristian Iannarelli

Tutor Progetto Policoro
Christian Salutari