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Scanno festeggia San Giovanni Bosco – Bicentenario del “sogno dei nove anni”

Mercoledì 31 gennaio una chiesa di Santa Maria della Valle in Scanno gremita ha festeggiato San Giovanni Bosco, patrono dei giovani, insieme al nostro Vescovo Michele, al parroco don Luigi e ai bambini delle scuole elementari e dell’Asilo d’Infanzia del Buon Pastore, accompagnati dalle educatrici e dalle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice. Presenti anche i diaconi Cristian e Francesco, il parroco di Villalago don Alain e il Direttore dell’Ufficio di Pastorale Giovanile don Daniele.

Ricorre quest’anno il bicentenario del sogno che don Bosco fece all’età di nove anni. Tale ricorrenza rimanda a uno degli accadimenti che il Santo ha considerato più rilevanti nella sua esperienza personale. I figli e le figlie di don Bosco hanno sempre guardato a questo racconto come ad una pagina “sacra”, piena di suggestioni carismatiche e di forza ispiratrice.

Durante il sogno, in un dialogo spirituale molto intenso, Gesù rivela al piccolo Giovanni la chiamata a prendersi cura dei suoi fratelli, soprattutto i più diseredati, attraverso la via della mansuetudine e della carità. Gli affida, inoltre, come guida e maestra la Vergine Maria, “sotto alla cui disciplina” può “diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza”.

Il sogno resta profondamente impresso per tutta l’esistenza del Santo, tanto da riproporsi in diversi momenti in forme simili e in diversi sviluppi, ispirandolo nel compiere la sua missione nel mondo giovanile e nella Chiesa del suo tempo.

“Vogliamo anche noi seguire la strada della mansuetudine tracciata da don Bosco e accogliere, come nel suo sogno, la Vergine Maria come madre. Sia lei a prenderci per mano e a farci comprendere come condurre i giovani a suo Figlio”, ha detto il Vescovo nell’omelia, ricordando la bellezza di una vita coltivata e spesa per amore.

Al termine della Celebrazione, sono stati benedetti i tradizionali maritozzi in segno di amicizia e condivisione, ma anche in ricordo dei tanti miracoli compiuti da don Bosco, che era solito offrire sempre da mangiare ai bambini alla fine di un momento di preghiera o di un incontro.

Ecco il testo integrale del racconto di don Bosco:

“A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giuocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que’ fanciulli aggiungendo queste parole: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù». Confuso e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo incapace di parlare di religione a que’ giovanetti. In quel momento que’ ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui che parlava.

Quasi senza sapere che mi dicessi, «Chi siete voi», soggiunsi, «che mi comandate cosa impossibile?». «Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili coll’ubbidienza e coll’acquisto della scienza». «Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza». «Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?». «Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno». «Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome». «Il mio nome dimandalo a Mia Madre».

In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie dimande e risposte, mi accennò di avvicinarmi a Lei, che presemi con bontà per mano, e «guarda», mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei». Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando come per fare festa a quell’uomo e a quella signora. A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a voler parlare in modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare. Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: «A suo tempo tutto comprenderai».

Ciò detto un rumore mi svegliò ed ogni cosa disparve. Io rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi ricevuti; di poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le cose udite mi occuparono talmente la mente, che per quella notte non mi fu possibile prendere sonno. Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima a’ miei fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava al medesimo la sua interpretazione. Il fratello Giuseppe diceva: «Tu diventerai guardiano di capre, di pecore o di altri animali». Mia madre: «Chi sa che non abbi a diventar prete». Antonio con secco accento: «Forse sarai capo di briganti». Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era del tutto analfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: «Non bisogna badare ai sogni». Io era del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla mente. Le cose che esporrò in appresso daranno a ciò qualche significato. Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della congregazione salesiana, egli si fece minutamente raccontare tutte le cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della congregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma.”