GENTFEST 2024: SEMI DI SPERANZA IN TERRA BRASILIANA. UN RACCONTO.
È il 1973 quando a Loppiano, la cittadella dei Focolari vicino a Firenze, si tiene il primo Genfest, il “festival della generazione nuova”, dove per ‘generazione nuova’ s’intende il settore giovanile del Movimento fondato da Chiara Lubich. Da allora il Genfest si ripete ogni sei anni radunando migliaia di ragazze e ragazzi dai cinque continenti per condividere, attraverso interventi, esperienze, canti e balli, la propria passione per la fraternità universale.
L’ultima edizione del Genfest si è svolta in Brasile dal 12 luglio al 2 agosto 2024 con il titolo “Insieme per prendersi cura” quasi a rievocare il famoso “I care” di don Lorenzo Milani, cioè “mi interessa, ho a cuore”: cura per le persone più fragili attraverso momenti di volontariato presso diverse organizzazioni sociali in diverse località; un evento centrale di testimonianze e di spettacolo ad Aparecida con 4 mila giovani provenienti da 50 Paesi e una diretta streaming che ha coinvolto 120 nazioni di tutto il mondo; la creazione di community per condividere talenti, passioni, abilità, competenze e continuare a costruire un mondo più fraterno nel proprio territorio. Nel mondo, negli stessi giorni, ci sono svolti altri 40 Genfest locali in diversi Paesi.
Anche la nostra Diocesi ha partecipato al Genfest 2024 col nostro Vescovo Michele insieme ai Seminaristi, Antonio e Vittorio. Un’occasione per fare fraternità e allargare l’orizzonte dei loro sguardi alle sfide che si trova ad affrontare la Chiesa universale ed in particolare la nostra Chiesa diocesana.
Sono stati giorni intensi umanamente e spiritualmente che ci sono stati raccontati attraverso un diario quotidiano condiviso sui nostri canali social.
La fase più intensa è stata la prima, quella del volontariato, trascorsa presso la Fazenda da Esperanca a Guaranciquetà. La Fazenda è la prima delle diverse comunità di recupero, maschili e femminili, nate in Brasile a partire dal 1983 e ormai diffuse in varie aree del mondo (170 sedi in nove Paesi, in Italia è presente a Lamezia Terme). Fondata da Fra Hans Stapel, Nelson Giovanelli Rosendo dos Santos, Lucilene Rosendo e Iraci Leit, la Fazenda da Esperanca è condotta secondo il carisma della speranza, legato al Movimento dei Focolari, con lo scopo principale di aiutare uomini e donne a superare i problemi legati all’alcolismo, alla tossicodipendenza, ma anche a stati depressivi legati alle difficoltà della vita, con lo scopo di riportarli a vita nuova attraverso un percorso fondato su tre pilastri: lavoro, vita di comunità e vita spirituale.
La radice che nutre la Fazenda da Esperança, le “fattorie della speranza”, è la stessa del Movimento dei Focolari, perché esprimono lo stesso desiderio di mettere in pratica le parole del Vangelo, soprattutto l’esperienza dell’amore reciproco. Il carisma di Chiara Lubich è come un tronco, come una radice profonda. E proprio perché c’è questa radice profonda, continua ad avere rami nuovi, foglie nuove, fiori nuovi: questa Fazenda è proprio uno di questi frutti. La chiamata che Dio fa attraverso i consacrati e le consacrate della “Famiglia della Speranza”, che guidano le “fattorie”, di portare speranza a coloro che forse non hanno più un senso nella loro vita, è una chiamata ad amarlo incondizionatamente nelle persone che si trovano in situazioni di fragilità sociale.
Antonio e Vittorio ci hanno raccontato a lungo di questa realtà: ciò che ha colpito immediatamente la loro attenzione sono stati gli occhi della fede, occhi immensi che sembravano bucare la notte, occhi in attesa del sorgere del sole, come certezza.
Troppo spesso, nella nostra società, nelle nostre comunità, nel cammino di ogni giorno, siamo abituati ad incontrare occhi spenti, stanchi, senza speranza, che non hanno la luce di chi ha davvero incontrato Cristo.
Da questi giorni hanno colto un invito: “abbiamo bisogno di tornare all’essenziale, di non smarrirci in tante cose secondarie, con il rischio di perdere di vista la purezza semplice del Vangelo”.
La seconda fase del Genfest si è svolta, invece, ad Aparecida, dove hanno vissuto un momento di festa: bandiere che sventolavano, voci che cantavano, visi che sorridevano, corpi che si abbracciavano. Un numero grande di giovani e così diversificato di culture di grande impatto.
Tante, naturalmente, le persone incontrate, ciascuna con un diverso sguardo sul mondo, testimonianze di vita piena, la speranza che un mondo unito sia possibile se ognuno porta avanti la sua piccola rivoluzione lì dove è destinato a “fiorire”. La frase di Margaret è stata emblematica: “Non diamoci pace finché non realizziamo la pace”». Le forti differenze culturali possono diventare strumenti di dialogo con l’altro.
Poi la platea del Genfest si è divisa in vari pathways per la terza fase: laboratori, workshop, tavole rotonde, lectio magistralis, sui vari temi proposti nell’ambito dei diversi percorsi, dal rapporto tra ecologia e politica, l’economia di comunione, le sfide dell’intelligenza artificiale.
Sfide fondamentali del mondo moderno che è sempre più frammentato e bisognoso di cucire le proprie ferite. Vedere insieme tanti giovani, dagli studenti ai professionisti nei più vari campi, che hanno preso parte a questa sfida, è un segno di speranza per il futuro. Le esperienze che si vivono nel quotidiano in ogni angolo del pianeta e sono state raccontate in questi giorni hanno mostrato le ferite di questa umanità. I workshop in gruppi per settori di interesse sono stati degli incubatori di scambi, idee e proposte che possono e devono essere portati avanti a livello internazionale. Da qui nasce la proposta delle communities che Margaret Karram ha sottolineato a conclusione dell’evento.
I discorsi finali di Margaret Karram e Jesús Morán sono stati un lancio, un invito a cogliere la sfida di portare le United World Communities, le «cellule di unità» di cui parlava Chiara Lubich, in tutto il mondo. In chiusura, Margaret ha citato lo scrittore cinese, Yutang Lin: “La speranza è come una strada nei campi: non c’è stata mai una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma”.
Infine, a conclusione di questa esperienza, non è mancato un momento che ha permesso di conoscere più da vicino la realtà del Brasile, attraverso una visita di quattro giorni a Rio de Janeiro con le sue contraddizioni culturali e sociali e le sue bellezze.
Come riassumere l’esperienza del Genfest in Brasile in poche parole?
Antonio ci dice: “Durante la prima fase abbiamo condiviso la quotidianità con persone ai margini della società, uomini con storie difficili alle spalle, alla ricerca di una nuova occasione e una nuova vita. Nelle comunità che abbiamo visitato ho potuto vivere con loro la spiritualità del Vangelo e ho potuto toccare con mano la forza e l’amore che ne derivano.
I giorni del Genfest sono stati, invece, un vortice di emozioni. C’è stata la curiosità di conoscersi e l’allegria di ritrovarsi e festeggiare insieme. C’è stata la gratitudine per le esperienze condivise da tanti e la gioia di scoprire che viviamo tutti per gli stessi ideali di pace e fraternità.
Mi porto a casa da questo Genfest una carica di energia positiva, tanta gioia da condividere, un amore rinnovato e la consapevolezza che un mondo unito è possibile”.
Antonio Carozza