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Un anno fa la prima messa in diretta social del Vescovo Michele

Il 19 marzo 2020, in piena pandemia da covid-19, il vescovo Mons. Michele Fusco celebrava la sua prima messa in diretta Facebook, preceduta il 10 marzo dalla prima diretta televisiva e sul canale YouTube. 

Un impegno che si estese in poco tempo a tanti parroci della diocesi i quali sperimentarono, da subito, il disagio e la fatica di affrontare celebrazioni nelle quali i soli occhi presenti davanti all’altare erano quelli di una telecamera o di uno smartphone.

L’Italia in lockdown cambiò le abitudini generali, anche quelle legate al culto religioso. La pandemia soffocava, immobilizzava l’esistenza, costringendoci ad alterare gli equilibri di lavoro, in casa, nelle relazioni e togliendo ai credenti anche il nutrimento dell’Eucaristia. Fu una scelta che nacque dall’esigenza di arginare i contagi: in Italia i numeri erano impressionanti con quasi mille morti al giorno. Erano giorni molto particolari, esperienze che non avevano precedenti nella nostra vita ed in quella di milioni di persone. Eravamo confinati a casa, impauriti e il bollettino delle 18, ogni giorno, ci atterriva con il numero dei morti che cresceva. Eravamo senza sacramenti, smarriti, senza prospettive, bisognosi di conforto umano e spirituale.

In questo tempo drammatico il Vescovo, seguendo l’esempio di papa Francesco, non fece mancare la prossimità alla sua Chiesa e la messa quotidiana in diretta, feriale e festiva, divenne un appuntamento irrinunciabile per tutti i fedeli della diocesi e non solo. La messa, lo sappiamo, è prima di tutto un dono che il Signore ci fa: il dono di se stesso, dell’incontro con lui, la comunione con il suo corpo e il suo sangue. In questo senso la celebrazione in streaming aiutò le comunità a sentirsi unite nonostante la distanza, a consolare le afflizioni del cuore e ad alimentare, con la preghiera, la speranza. 

Non bisogna, però, dimenticare che la messa attraverso i mezzi di comunicazione non sostituisce la partecipazione alla celebrazione in chiesa, ma ha un alto valore spirituale per chi è impossibilitato a partecipare. Un bel documento dei vescovi italiani “Il giorno del Signore” afferma: “La Messa in tv è spesso vissuta con partecipazione e devozione dal malato, dall’anziano, o da chi si trovi comunque nell’impossibilità di recarsi personalmente in chiesa. E proprio a questi ultimi essa può offrire un servizio spiritualmente assai utile”. In questo senso, prosegue il documento, “una Messa alla televisione o alla radio […] ha i suoi aspetti positivi: la parola di Dio viene proclamata e commentata “in diretta”, e può suscitare la preghiera; il malato e l’anziano possono unirsi spiritualmente alla comunità che in quello stesso momento celebra il rito eucaristico; la preghiera universale può essere condivisa e partecipata. Manca certamente la presenza fisica, ma l’impossibilità di portare un’offerta all’altare non esclude quella di fare della propria vita (malattia, debolezza, memorie, speranze, timori) un’offerta da unire a quella di Cristo”.

Se mediante la tecnologia ci è possibile raggiungere molti, se non tutti, è anche vero che non bisogna mai dimenticare che l’Eucaristia è un grande dono, il più prezioso, e di esso e della sua celebrazione è doveroso prenderci cura, senza approssimazioni e trascuratezze. Non è rispettoso del Mistero celebrato, mai e neanche in situazioni come questa, soprattutto per trasmissioni in tv e mediante i social, affidarsi a celebrazioni improvvisate in qualunque luogo e poco curate. Così come è opportuno proclamare la Parola di Dio in modo non rapido ma lento e meditato  e che “tutte le forme rituali, verbali e non verbali, chiedono preparazione e dignità nello svolgimento: dalla proclamazione dei testi e delle preghiere al silenzio, dalla dignità degli spazi liturgici alle vesti, dalla pertinenza dei canti all’uso dei diversi ed appropriati luoghi liturgici” (nota della CEI sul corretto uso delle tecnologie per trasmettere la celebrazione dell’Eucaristia). 

A distanza di un anno ci prepariamo a vivere, si spera, una Pasqua in presenza senza rinunciare a quella incarnata sacramentalità che costituisce il proprium dell’espressione cattolica della fede cristiana.

Questa esperienza, seppur nata nel dramma, ha però portato dei frutti di bene che non dobbiamo disperdere, ma custodire ed ampliare. La sfida per il futuro, quando una certa normalità sarà recuperata, sarà proprio quella di imparare a declinare la realtà digitale attraverso le categorie del Vangelo. Resterà accanto a noi uno strumento importante, utile e fondamentale, ma che non deve farci venir meno il desiderio di stare uno accanto all’altro. Scrivere su Whatsapp “ti abbraccio” ed abbracciare una persona, respirandone il calore ed i battiti, sono due cose diverse. A noi scegliere che resti così.