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Convegno, la terra è di tutti e tutto è dono


 
IL Convegno promosso dalla Diocesi di Sulmona-Valva e dall’Associazione A.L.B.A. si è tenuto al teatro “Caniglia” di Sulmona e ha visto la partecipazione di tanti studenti con diversi relatori tra cui Stefano Sabatino, Cinzia Guidotti, Maurizio Ortu, Maurizio Proietti, Nicoletta Proietti, Francesco Fagnani, che ha coordinato il tutto. Gli interventi , con stile divulgativo, hanno preso in esame aspetti negativi legati alla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dell’indiscriminato sfruttamento delle risorse ed in particolare dal conseguente e progressivo scadimento della qualità e dello stile di vita.

Il convegno ha aperto il percorso del congresso nazionale Città di Sulmona, dedicato alle tematiche dell’ambiente e del ruolo delle varie professioni in questo ambito. Di seguito viene riportata la relazione tenuta dal vescovo Angelo Spina:

"Buongiorno a tutti.
Ringrazio il dottor Fagnani, dell’ Assocaizione Scientifica ALBA, per tutto l’impegno profuso per questo convegno.
Il Sindaco e l’Amministrazione Comunale per il patrocinio e l’utilizzo di questo teatro.
Ringrazio tutti i relatori presenti
Ringrazio i parroci, i dirigenti scolastici del Polo  Scientifico  Prof. Massimo Di Paolo e del Polo Umanistico  Prof.ssa Caterina Fantauzzi, gli alunni e tutti voi intervenuti a questo interessante convegno: “La Terra è di tutti e tutto è dono”.
 
Premessa
Il tema che mi accingo a trattare  è il rapporto tra fede e ambiente, la salvaguardia del creato e gli aspetti etici.
Ad alcuni astronauti, tra cui l’italiana Samantha Cristoforetti, che sono nella stazione spaziale, è stato chiesto come è la terra vista da lassù. La risposta giunta dallo spazio, senza ombra di dubbio e stata: “bellissima”.
Se dovessimo dare noi oggi una risposta cosa diremmo, guardando non dallo spazio, ma camminando su questo pianeta?
Avvertiamo i cambiamenti climatici dovuti alla responsabilità dell’uomo, pensiamo cosa fa un alluvione (cfr. Genova); pensiamo al pericolo della radioattività a fukushima. A quanto è apparso ieri su un giornale dell’Abruzzo: peggiora la salute del mare, fiumi troppo inquinati, o  al problema dello smaltimento dei rifiuti di cui la città di Napoli e dintorni è stato al centro di tante polemiche.  
Certo la filosofia e l’umorismo dei napoletani sono impareggiabili in quanto sopra una calca di rifiuti, appeso ad un balcone c’era un lenzuolo con una scritta: “Per piacere’nun ce la levate, c’ simm affezionat” (Per piacere non toglietecela ci siamo affezionati).

Nasce una domanda: Quale pianeta lasciamo ai giovani, alle future generazioni e a quali giovani lasceremo questo pianeta.
La terra, questo pianeta è la nostra casa, è la casa di tutti. Oggi è malata, l’uomo è la causa di tante malattie: inquinamento, saccheggiamento, deupaperamento.
 
L’Eden affidato all’uomo perché lo custodisca e lo coltivi.
 
L’aggravarsi della crisi ecologica, dovuta all’odierna civiltà industriale e all’aggressività dell’uomo con uso di tecnologie sempre più sofisticate pone a tutti, credenti e non credenti, una sfida. Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità. Lo scorso anno ero in missione presso le popolazioni indigene nella forensta,  in Colombia in una delle zone più povere, nel Chocò, ma ricca di miniere d’oro e di smeraldo, vedevo lo scempio, la devastazione di intere foreste fatte senza scrupolo, distruggendo polmoni di verde, pur di ottenere un profitto.
Leggendo il libro della Genesi troviamo che la creazione è un atto d’amore di Dio. E’ lui che crea il mondo dal nulla, dal caos, cioè dal “vuoto” dove non c’era nulla. Le cose, per questo atto libero di Dio, sono apparse in ordine, in armonia, bellezza e gloria. Dio con la sua azione creatrice, avrebbe fatto un’opera di “cosmesi”, mettendo ordine, bellezza dove c’era il caos, il nulla. Il libro della Genesi parlando della creazione non dice solo che le cose sono belle, ma che hanno una bontà “Vide che quanto aveva fatto era cosa molto buona” (Gn 1,9).
Il capolavoro della creazione è l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Porta con sé, in sé qualcosa che trascende la creazione: pensiero, libertà, ragione, amore, memoria, capacità di amare, l’anima, ecc.ecc….
Il libro della genesi dice che Dio, dopo aver creato l’uomo lo pose nel “Giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15). “Custodire” e “coltivare” sono due verbi importanti per le conseguenze che ne derivano.
 
Affidando l’Eden da coltivare, Dio chiama l’uomo alla collaborazione. Coltivare significa applicare la ragione alla creazione. L’uomo di oggi, “specialmente per mezzo della scienza e della tecnica, ha esteso e continuamente estende il suo dominio su quasi tutta la natura” (GS,33). “L’attività umana individuale e collettiva, ossia quell’ingente sforzo con il quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso corrisponde al progetto di Dio” (GS, 34).
Per questo la Chiesa Cattolica non si oppone in alcun modo al progresso, anzi considera “la scienza e la tecnologia…un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio, dal momento che ci hanno fornito possibilità meravigliose, di cui beneficiamo con animo grato” (Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato durante l’incontro con gli scienziati e rappresentanti dell’Università delle Nazioni Unite, Hiroshima 25 febbraio 1981).
 Per questa ragione, “come credenti in Dio, che ha giudicato “buona” la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l’uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare” (Giovani Paolo II, Discorso ai lavoratori delle Officine Olivetti di Ivrea 19 marzo 1990).
 
Nel testo della Genesi  c’è, come dicevamo, anche l’altro verbo “custodire”. L’uomo è chiamato ad esercitare la sua responsabilità sul creato, a farne “uso” e non “abuso”. L’uomo non deve dimenticare che la sua capacità di trasformare e in un certo senso di creare il mondo con il proprio lavoro si svolge sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli non deve “disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire” (Giovanni Paolo II Centesimus Annus, 37).      Quando si comporta in questo modo, “invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce con provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui” (CA, 67).
Se l'uomo interviene sulla natura senza abusarne e senza danneggiarla, si può dire che « interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio. Lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l'uomo fosse il re della creazione ». (Discorso alla 35^ Assemblea generale dell’Associazione Medica Mondiale 29 ottobre 1983). In fondo, è Dio stesso che offre all'uomo l'onore di cooperare con tutte le forze dell'intelligenza all'opera della creazione.

La crisi nel rapporto tra uomo e ambiente
Il messaggio biblico e il Magistero ecclesiale costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra l'uomo e l'ambiente.(Cfr. Octagesima adveniens, 21) Alle origini di tali problemi si può ravvisare la pretesa di esercitare un dominio incondizionato sulle cose da parte dell'uomo, un uomo incurante di quelle considerazioni di ordine morale che devono invece contraddistinguere ogni attività umana.
La tendenza allo sfruttamento «sconsiderato»  delle risorse del creato è il risultato di un lungo processo storico e culturale: « L'epoca moderna ha registrato una crescente capacità d'intervento trasformativo da parte dell'uomo. L'aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell'ambiente: l'ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l'ambiente come “casa”. A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l'equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico». (Giovanni Paolo II. Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute 24 marzo 1997).
La natura appare come uno strumento nelle mani dell'uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia. A partire dal presupposto, rivelatosi errato, che esiste una quantità illimitata di energia e di risorse da utilizzare, che la loro rigenerazione sia possibile nell'immediato e che gli effetti negativi delle manipolazioni dell'ordine naturale possono essere facilmente assorbiti, si è diffusa una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicistica e lo sviluppo in chiave consumistica; il primato attribuito al fare e all'avere piuttosto che all'essere causa gravi forme di alienazione umana. (Sollicitudo rei socialis, 28).

Un simile atteggiamento non deriva dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma da un'ideologia scientista e tecnocratica che tende a condizionarla. La scienza e la tecnica, con il loro progresso, non eliminano il bisogno di trascendenza e non sono di per sé causa della secolarizzazione esasperata che conduce al nichilismo; mentre avanzano nel loro cammino, esse suscitano domande circa il loro senso e fanno crescere la necessità di rispettare la dimensione trascendente della persona umana e della stessa creazione. (Cfr. aneddoto: l’esempio dei due fratelli in campagna che vedono la nascita di un pulcino) (Es. Una madre che dice . questo figlio è mio, l’ho fatto io).
            Una corretta concezione dell'ambiente, mentre da una parte non può ridurre utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento, dall'altra non deve assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana. In quest'ultimo caso, si arriva al punto di divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti che chiedono di dare un profilo istituzionale internazionalmente garantito alle loro concezioni. (Cfr. Francesco d’Assisi: Cantico delle creature)
                Il Magistero della Chiesa ha motivato la sua contrarietà a una concezione dell'ambiente ispirata all'ecocentrismo e al biocentrismo, perché essa «si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l'uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un'unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell'uomo in favore di una considerazione egualitaristica della “dignità” di tutti gli esseri viventi ». (Giovanni PaoloII, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute 24 marzo 1997).
            Una visione dell'uomo e delle cose slegata da ogni riferimento alla trascendenza ha portato a rifiutare il concetto di creazione e ad attribuire all'uomo e alla natura un'esistenza completamente autonoma. Il legame che unisce il mondo a Dio è stato così spezzato: tale rottura ha finito per disancorare dalla terra anche l'uomo e, più radicalmente, ha impoverito la sua stessa identità. L'essere umano si è ritrovato a pensarsi estraneo al contesto ambientale in cui vive. È ben chiara la conseguenza che ne discende: «è il rapporto che l'uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell'uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l'uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell'uomo con l'ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del mondo circostante ». (Giovanni PaoloII, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute 24 marzo 1997).
            Va messa maggiormente in risalto la profonda connessione esistente tra ecologia ambientale ed « ecologia umana ». (Centesimus Annus, 38)
            Il Magistero sottolinea la responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti: «L'umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l'ambiente come casa e come risorsa a favore dell'uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d'inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l'etica del rispetto per la vita e la dignità dell'uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno ». (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute 24 marzo 1997).
La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell'uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità. La natura non è, in effetti, una realtà sacra o divina, sottratta all'azione umana. È piuttosto un dono offerto dal Creatore alla comunità umana, affidato all'intelligenza e alla responsabilità morale dell'uomo. Per questo egli non compie un atto illecito quando, rispettando l'ordine, la bellezza e l'utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell'ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Sono deprecabili gli interventi dell'uomo quando danneggiano gli esseri viventi o l'ambiente naturale, mentre sono lodevoli quando si traducono in un loro miglioramento. La liceità dell'uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica: come per ogni comportamento umano, è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi. Nell'ambito degli interventi tecnico-scientifici di forte e ampia incisività sugli organismi viventi, con la possibilità di notevoli ripercussioni a lungo termine, non è lecito agire con leggerezza e irresponsabilità.

Ambiente e condivisione dei beni
Anche nel campo dell'ecologia la dottrina sociale invita a tener presente che i beni della terra sono stati creati da Dio per essere sapientemente usati da tutti: tali beni vanno equamente condivisi, secondo giustizia e carità. Si tratta essenzialmente di impedire l'ingiustizia di un accaparramento delle risorse: l'avidità, sia essa individuale o collettiva, è contraria all'ordine della creazione. Gli attuali problemi ecologici, di carattere planetario, possono essere affrontati efficacemente solo grazie ad una cooperazione internazionale capace di garantire un maggiore coordinamento sull'uso delle risorse della terra.
Nuovi stili di vita
I gravi problemi ecologici richiedono un effettivo cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita, «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ». (CA,36) Tali stili di vita devono essere ispirati alla sobrietà, alla temperanza, all'autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l'ordine della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento, favorito da una rinnovata consapevolezza dell'interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra, concorre ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantisce una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori.
La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per un'autentica solidarietà a dimensione mondiale.
L'atteggiamento che deve caratterizzare l'uomo di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine e della riconoscenza: il mondo, infatti, rinvia al mistero di Dio che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell'orizzonte del mistero, che apre all'uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell'uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice.

Conclusione
Alla luce della “contemplazione” della Parola di Dio sulla creazione, è necessario un passaggio dal concetto di “antropocentrismo”, “dell’uomo signore dell’universo” a quella di “uomo custode della creazione”.
“Questo mondo lo abbiamo ricevuto in prestito per i nostri figli e non in eredità dai nostri padri”.
Questa frase che pare appartenga alla sapienza degli antichi ebrei ci insegna che nel passaggio in questo mondo dobbiamo lasciare qualcosa di nostro che deve essere trasmesso agli altri e non vivere con la consapevolezza che tutto si deve esaurire con noi o da noi deve essere tutto consumato. Siamo amministratori e non padroni. Siamo come ci ha insegnato la pagina biblica “coltivatori” e “custodi”, cioè scienza e fede, scienza e coscienza non in contrapposizione ma come due ali per volare alto. Con una sola ala non si vola, con due si può accogliere quanto  di buono, di vero, di bello, c’è in questo mondo e lasciarlo migliore a chi ospiterà dopo di noi. E’ necessario allora volare in alto, come gli astronauti, per vedere che la terra è “bellissima”, altrimenti si rimane imprigionati e intossicati dalle proprie mani senza prospettiva di speranza. Grazie dell’ascolto”.