Notizie 

Celebrato al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata il giubileo del clero abruzzese-molisano

Col sole che illuminava la prima neve caduta sulle cime più alte della catena montuosa del Gran Sasso è iniziata una giornata del tutto speciale per il clero abruzzese-molisano e per l’intera Chiesa regionale.  Si è celebrato oggi, infatti, presso il santuario di San Gabriele dell’Addolorata l’annuale ritiro regionale che ha visto la partecipazione di numerosi sacerdoti e soprattutto di tutto il collegio episcopale locale; presbiteri, diaconi e vescovi hanno, infine attraversato la Porta Santa e celebrato, così, il loro giubileo.

La giornata ricca di spunti e di riflessione è stata vissuta da tutti all’insegna della fraternità e della semplicità tipica di chi, dopo un anno, ritrova e rincontra i suoi cari. Si può pensare così che, la giornata odierna, è voluta essere in primis un ritornare a casa, a quelle origini che non solo fanno bene alla nostra vita di uomini ma ancor più di preti; in altre parole, un incontrare per fare memoria e così ricaricarsi e ripartire. D’obbligo il saluto del presidente della CEAM (Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana) l’arcivescovo metropolita dell’Aquila, S. Em.za Petrocchi card. Giuseppe, il quale ha voluto così salutare gli astanti: «questa mattina dobbiamo metterci a disposizione non solo a metterci gli uni accanto gli altri ma a camminare insieme e mettendoci sulla stessa frequenza d’onda e mettendo in sintonia il cuore e la mente». I lavori di coordinamento, poi, sono stati curati da mons. Gianfranco De Luca, vescovo di Termoli e delegato regionale per la formazione permanente del clero.

Il primo a prendere la parola e introdurre, così, la relazione condivisa è stato il prof. don Gianni Carozza, docente di Sacra Scrittura presso l’Istituto di Scienze Religiose E. Toniolo di Pescara e l’Istituto Teologico del nostro Seminario Regionale di Chieti. Egli, specializzato soprattutto sugli scritti giovannei, ha commentato il versetto paolino della 2Cor 1,24: «noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi». Così ha affermato: « certamente queste parole di San Paolo sono il modo più adeguato per comprendere la relazione che deve intercorrere tra il ministro ordinato e il laici. Come sacerdoti siamo chiamati a risvegliare la gioia come dei collaboratori e non come autori. Fare ciò permette di comprendere l’identità del prete e della sua vocazione. Da ciò, allora, scaturisce la relazione personale quale metodo per vivere tale risveglio». La logica pasquale, perciò ha concluso don Gianni, è certamente ciò che non puoi mai mancare nel pensiero e nell’agire di un ministro ordinato poiché mediante questa egli stesso diviene testimone di speranza e di amore oblativo.

A tal proposito, sono seguiti gli interventi dei vescovi. Il primo, mons. Bruno Forte arcivescovo di Chieti, ha voluto mettere in luce come Dio fosse presente, in maniera del tutto particolare, nei tristi e angosciosi momenti della pandemia. In altre parole, egli ha voluto rispondere alla domanda «come può un Dio buono permettere una sciagura e/o una pandemia, come quella che abbiamo vissuto?». Mediante la teologia della sofferenza, il presule teatino, ha voluto delineare la teoria dell’agape, cioè dell’amore oblativo, il quale ha permesso di ricomprendere come Dio è amore, e in quanto tale ha provato, nel Figlio incarnato, la sofferenza.

A tal attenzione teologica, ha fatto seguito una rilettura esistenziale dei dati che Caritas Italiana ha stillato in questi momenti di prova. Ha accompagnato questo momento mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara. A conclusione l’intervento di mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso, a proposito di un risvolto pastorale e di come ripartire. Il presule molisano ha affermato con forza come la pandemia ha accentuato il vizio dell’accidia, la quale è certamente molto più pericolosa di ogni altro virus; essa, infatti, riprendendo sempre le parole di mons. Bregantini, succhia la linfa dell’amore inaridendo la persona e perciò portarla inevitabilmente all’indurimento e alla morte del cuore.

Certamente si può affermare che la giornata odierna è voluta essere in primo luogo un voler andare contro corrente a una mentalità tipicamente accidiosa. A tal proposito, tuttavia, non si può nascondere la difficoltà di riprendere un cammino pastorale e soprattutto di lasciare alla speranza quello spazio del nostro cuore troppo occupato dalla paura e del ripiegarsi su se stessi.